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20 giugno 2025
La Tognazza, da buen retiro di Ugo Tognazzi a impresa del vino: oggi Gian Marco guida un brand che unisce qualità, visione e convivialità.
Articolo tratto dal numero di maggio 2024 di Forbes Small Giants. Abbonati!
Era il 1969 quando Ugo diede alla luce la prima etichetta de La Tognazza, disegnata a pennarello da lui stesso, per celebrare la sua prima vinificazione ufficiale. Un momento che sancì l’inizio della produzione della tenuta di famiglia a Velletri, Castelli Romani. Era l’indimenticabile schiumante: “Metà bottiglia andava sempre fuori”, ricorda suo figlio Gian Marco, oggi responsabile dell’azienda. Ma non ci sono solo uve in questo regno, dove si concepirono le più accattivanti sceneggiature dei suoi capolavori (tra gli altri Amici miei, La grande abbuffata e Il vizietto) insieme a compagni di viaggio come Monicelli, Ferreri, Benvenuti e De Bernardi: ci sono anche uliveti, frutteti, piante aromatiche, pomodori, conserve e un’ampia varietà di animali.
Poco dopo la scomparsa di Ugo, la moglie Franca Bettoja ha rilanciato il brand, ma è con il terzo figlio Gian Marco che intorno al 2010 si è trasformata in una vera e propria azienda. Ora si annoverano etichette dal sapore indimenticabile, quali i rossi Conte Mascetti (vigneti di Sangiovese, Merlot e Syrah di Panzano in Chianti), Casa Vecchia (toscano mix di uve Sangiovesi con una piccola percentuale di Cabernet Sauvignon, affinato per oltre 18 mesi in barrique di rovere francese), Come Se Fosse (nato dalla vinificazione di uve parzialmente appassite, prodotto sia dalla tenuta di Velletri, su terreni di origine vulcanica, sia dagli appezzamenti toscani), così come l’Antani (che racchiude anch’esso le due anime territoriali). E infine i bianchi, lo Chardonnay Voglia Matta e il Tapioco, dalle uve coltivate in parte nell’area dei Castelli e in parte in Toscana, su suoli di natura alluvionale di Chardonnay e Vermentino. Ne abbiamo parlato proprio con Gian Marco Tognazzi.
Gian Marco, cos’è oggi La Tognazza?
È il luogo del cuore, dove sono cresciuto. Ci troviamo sui Castelli Romani, in un luogo fortemente voluto da Ugo già negli anni ‘60, quando anticipava con grande intuizione tendenze culinarie e mondo del vino. Quella che poi sarebbe diventata la grande moda della cucina qualche decennio dopo. Qui si auto-produceva praticamente tutto, e solo per sua passione: dall’orto alla vigna, dall’uliveto al frutteto, ma anche miele, piante aromatiche, pomodori, conserve, senza dimenticare i 200 tipi di animali diversi. Anche l’acqua è la nostra, recuperata a 310 metri di profondità. Mio padre diede il nome a questo posto, al suo ‘buen retiro’: omaggiando l’universo femminile, lo chiamò ‘La Tognazza’. Un posto per se stesso e per tutti i suoi amici. Un luogo in cui le serate trascorse hanno posto le basi dei suoi capolavori cinematografici.
Cioè?
Nel senso che è nato tutto qui! Da instancabile fautore del confronto, soprattutto a tavola, tutto è nato dai dialoghi con sceneggiatori e registi quali De Bernardi, Monicelli, Benvenuti e Ferreri, che fino alle tre del mattino si fermavano in lunghe serata di festa. Dalla Grande abbuffata alla trilogia di Amici miei, passando per Il vizietto. E proprio in questa terra sono nate le locuzioni del ‘Conte Mascetti’ in Amici Miei, ‘Tapioco’, ‘Come se fosse antani’ e tutto il resto. Frutto di momenti di goliardia accompagnati proprio dal vino della Tognazza. Inconfutabile la sua visione di una cucina del futuro basata sull’orto fatto in casa e materia prima di alta qualità, per giunta nel momento in cui esplodevano i supermarket e la grande distribuzione. Un pioniere anche del percorso biologico e del chilometro zero.
Quando è avvenuta la trasformazione da un qualcosa di familiare a un’impresa vera e propria?
Nel momento in cui sono tornato a vivere qui, concentrandomi sulla mia passione per il vino. Tecnicamente siamo partiti nei primi anni 2010, anche con l’olio, concentrandoci prima sul Lazio e poi aprendoci al resto, Toscana in primis. Nel 2015-16 la partenza nazionale, compresi social, dei quali fummo un po’ degli antesignani. L’idea si è basata sul fatto di allargare la visione di Ugo della convivialità con gli amici anche al pubblico, trasformando il vino artigianale della Tognazza in un prodotto per il mercato.
E così ebbe inizio il progetto imprenditoriale.
Sì, progetto nato mantenendo sempre quella filosofia: una primizia di una regione, una dell’altra, unendole per determinare poi una nuova ricetta. Non dimentichiamoci che Ugo fu direttore per 15 anni di una delle riviste culinarie più prestigiose a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80, oltre ad aver scritto cinque libri in materia. Medesimo concetto traslato nel vino, giacché la Tognazza è oggi presente sia nel Lazio che in Toscana, dal terreno vulcanico dei Castelli Romani a quello argilloso del Chianti, con l’unificazione e la vinificazione di due regioni che sono eccellenze nel settore. Io le chiamo ‘Toscazio’.
Produzione e distribuzione?
La Tognazza può arrivare a produrre fino a 160mila bottiglie all’anno. Nel periodo pre pandemia ne imbottigliavamo circa 90mila, dopo la contrazione del mercato post lockdown siamo ripartiti con un 60% (attorno alle 50mila unità). Come canali ci avvaliamo dell’Horeca per un buon 70% e per il restante 30% dell’online. Niente supermarket o grande distribuzione. Durante il Covid, grazie proprio all’online, siamo riusciti a stare vicino a chi era segregato in casa.
Mission e obiettivi futuri?
Parto da un dato significativo. Da 400mila cantine pre pandemia a 275mila di oggi. Ci hanno lasciato 125mila aziende. Un disastro in ordine di perdita di risorse umane e prodotto italiano, con tutto l’indotto che ne consegue. Il nostro obiettivo è quello di incrementare in base alla previsionalità, che si tramuta in passi piccoli e graduali. Stabilizzarsi e consolidarsi sul mercato, e poi crescere, ma con una logica di mercato. E anche e soprattutto puntare sull’accoglienza, perché se la Tognazza ha una ragion d’essere inalienabile, quella è proprio rappresentata dal calore umano e dall’hospitality.
Attore, imprenditore e produttore di vino. Qual è la dimensione che più senta sua?
Quest’ultima senz’altro, quella dell’artigiano del vino. Come attore sono al servizio di un produttore, di un regista o di uno sceneggiatore, qui invece mi sento completamente libero, creatore di me stesso, ideatore delle mie sorti e delle mie decisioni. L’opportunità la dò io a me stesso, coadiuvato da mia moglie e dal nostro team, in un luogo dove il confronto e la convivialità sono stati essenza primordiale. Dove si respirano momenti in cui quegli uomini di una certa età giocavano a fare i ragazzini e il sapore di quei vini, oggi, ci fa sentire ancora giovani, proprio come lo erano loro in queste vigne.