Contenuto tratto dal numero di giugno 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Dopo anni di dominio statunitense, cresce l’interesse verso Europa e Asia: “Ci sono catalizzatori concreti, non più solo storytelling”, spiega Claudio Barberis, head of discretionary mandates di Kairos Partners. Nuovi equilibri, strategie attive e comunicazione più accessibile per investire con consapevolezza.
Nel corso degli ultimi dieci anni le azioni europee e asiatiche sono state messe in ombra da quelle statunitensi, vista l’attrattiva esercitata sugli investitori dal dinamismo dei titoli tecnologici Usa e dalle altissime aspettative sugli utili di quelle aziende. Tuttavia, in una fase in cui molte delle certezze storiche sono messe in discussione, “riteniamo sia in atto un cambiamento radicale, con altre aree, come Europa e Asia, in grado di offrire opportunità di investimento altrettanto interessanti, basate su positive evoluzioni strutturali, quelle che possiamo chiamare hard catalysts”. Parola di Claudio Barberis, head of discretionary mandates di Kairos Partners.
Da quando è in atto questa inversione di marcia?
La tendenza era già visibile da gennaio: per la prima volta dopo tanti anni, alcuni mercati azionari, come Europa e segmenti del mercato asiatico, stanno facendo meglio rispetto agli Stati Uniti. Alcuni hanno identificato tutto questo come la fine dell’eccezionalismo americano. Noi pensiamo piuttosto che, senza troppi proclami, gli investitori siano tornati a guardare anche altrove. Il fatto che gli Usa abbiano fatto meglio per oltre un decennio è stato giustificato, senza dubbio, dalla qualità della loro economia, dato di fatto su cui però si sono costruite aspettative via via più rosee. Questo si è tradotto in pesi crescenti degli Stati Uniti negli indici azionari globali. Nel frattempo si è sviluppata un’industria molto consistente di strumenti passivi. Era dunque difficile rimanere sottopesati nei confronti degli Usa, quando circa il 70% dell’indice era investito lì. Ora tutto questo ha iniziato a sgonfiarsi. Ci sono catalizzatori altrove e numerosi altri mercati sono tornati investibili. Si può fare di nuovo asset allocation globale.
Quali sono le opportunità?
Si sono riaperte finestre semichiuse da anni. La Germania è tornata a spendere fiscalmente, qualche settore europeo, come la finanza (banche, ndr) e l’industria, sta esprimendo valore e beneficia del fatto che l’Europa è tornata a fare spese infrastrutturali e militari. L’Italia non è più l’anello debole dell’Europa. Anche la ricostruzione dell’Ucraina potrebbe essere un’evoluzione a favore di numerosi operatori europei. C’è poi il mondo asiatico a cui guardare, a cominciare dal Giappone, paese in fase di rilancio che sta esprimendo una certa innovazione della corporate governance, il ritorno dell’inflazione, la riscoperta di aziende e settori domestici di qualità e uno yen debole che, dopo anni, potrebbe tornare interessante.
Come valutare a questo punto la vicenda delle tariffe?
Di certo ha avuto un aspetto negativo per gli shock sui mercati e per il fatto che non sono lo strumento giusto, ma, al contempo, ha dato il via a un percorso di aggiustamento di alcuni squilibri reali e strutturali. In Cina o in Germania, per esempio, da decenni ci si aspetta che l’economia si sposti maggiormente sui consumi domestici e forse ora questo potrà avvenire. La vicenda DeepSeek, per fare un altro esempio, ha portato gli investitori a rendersi conto che la tecnologia non è solo nelle Mag7 (Alphabet, Amazon, Apple, Broadcom, Meta, Microsoft e Nvidia, ndr).
Il vostro servizio di gestione patrimoniale è molto attento alla clientela e personalizzato. Ce lo racconta?
Le leve sono due: il processo di investimento e il servizio, ovvero come uso questo processo. Il punto centrale della gestione personalizzata non è mettere dieci idee diverse nei portafogli di dieci investitori diversi, ma è mettere le stesse idee in pesi e formati diversi, a seconda delle esigenze del cliente. Il nostro è un processo che incentiva l’emergere di idee attive all’interno del Comitato investimenti e quindi nei portafogli, andando alla ricerca di temi e trend che emergono via via sui mercati. È un processo che mira a far dialogare professionisti con grande esperienza alle spalle per far emergere tematiche attive da inserire nei portafogli. I portafogli che ne scaturiscono, in genere, sono distanti dai benchmark di mercato.
Cosa intendete con l’espressione ‘costruire un portafoglio’?
Trovare un equilibrio. Un conto è dire che la volatilità va accettata, un conto è fare errori irrimediabili. Ecco, noi cerchiamo di evitare perdite eccessive al portafoglio, pur cercando di non perdere le occasioni di rimbalzo che possono presentarsi. Gestire un patrimonio in delega significa prendersi appieno la responsabilità delle scelte.
Avete lanciato la rubrica video Wealth Mindset. Di cosa si tratta e qual è la finalità?
La nostra industria fa tantissimi interventi sui media, ma la sensazione, molto spesso, è che finiamo per usare un linguaggio troppo professionale o troppo tecnico. Tutto questo rende difficile veicolare i messaggi al cliente e, in casi estremi, può anche portarlo a sentire sfiducia e ansia. Intendiamo dunque parlare di finanza con un lessico più accessibile, che arrivi anche a chi fa altri mestieri. Del resto, i nostri clienti vengono da settori merceologici molto diversi, hanno età e competenze differenti. Quindi è giusto che tutti riescano a capire a fondo dove vanno a finire i loro risparmi. Si tratta di una rubrica mensile ed è accessibile a chi si iscrive alla sezione Approfondimenti del sito kairospartners.com, selezionando l’opzione ‘Video e Podcast con i nostri gestori’.
Questo articolo è stato notarizzato in blockchain da Notarify.