Anna Dello Russo non è semplicemente una fashion icon: è una dichiarazione d’intenti vivente. Irrefrenabile, teatrale, radicale, da 35 anni sui front row delle più importanti sfilate, ha trasformato il suo corpo in una passerella permanente e la moda in un manifesto di identità. Ex direttore creativo di Vogue Japan, ma soprattutto pioniera digitale prima ancora che l’industria ne comprendesse la portata, AnnaDello Russo incarna da decenni l’estetica dell’eccesso con la disciplina di una perfezionista. Vive come lavora: con ossessione.
Ogni outfit è un atto di comunicazione, ogni apparizione una performance che sfida il tempo, le convenzioni. In un sistema spesso dominato dalla prudenza e dall’omologazione, lei ha sempre scelto la via più rischiosa: quella dell’esagerazione, della rottura. In un mondo in continua trasformazione, Anna Dello Russo resta una certezza abbagliante: una donna fedele solo a sé stessa.
L’hanno definita “una maniaca della moda”, si riconosce in questa definizione?
“Assolutamente! mi ha definito così Helmut Newton, un fotografo di fama internazionale con cui ho avuto la fortuna di lavorare, lui mi guardò mentre lavoravo mi disse: “you are obsessed” questa definizione purtroppo è vera: per chi fa il nostro lavoro, solo se hai un rapporto così maniacale arrivi al succeso. Non esiste una scorciatoia, è un lavoro che non ha soste, non ha orari, è una cosa alla quale tu devi essere sempre presente, sempre il testimone; quindi, per me la definizione che mi ha dato Helmut Newton mi rappresenta”.
Tolta la moda, chi è Anna Dello Russo?
“Per me è difficile pensare alla mia persona senza la moda, perché ripeto, è una passione che coltivavo già da bambina, sono nata con una missione: parlare attraverso i vestiti. Da giovanissima ho capito che questo mondo poteva essere un’alternativa dalla realtà in cui vivevo: quella di una bambina nata nel sud Italia. La moda è stata la mia valvola di sfogo anche per crearmi una cultura internazionale, per far sì che mi sentissi a casa in ogni paese, quella bambina aveva un sogno: diventare cittadina del mondo”.
Quanto il suo successo, il suo personaggio, è stato creato anche dal volere sempre più osare con i look?
“È stata una precisa volontà: parlare attraverso i vestiti, cercare sempre il superamento di costrizioni, di luoghi comuni, oltrepassare il conformismo, se mi fossi fermata un bel tailleur couture sarebbe rimasta una questione di stile, ma io voglio fare della moda una questione di comunicazione”.
La moda oggi e la moda a vent’anni fa, qual è il cambiamento che nota di più?
“Io sono stata un link tra questi due mondi, il passaggio tra il vecchio e il nuovo secolo; ho avuto la fortuna di essere una testimone di un cambiamento epocale. Il passaggio dalla aulicità della moda, alla democratizzazione della moda attraverso la rivoluzione digitale. Gli anni 90, nei quali io sono cresciuta con la scuola di Franca Sozzani, noi ragazzine eravamo tutte le bambine di Vogue, cioè volevi essere partecipe di quel mondo chiuso, con l’inizio della rivoluzione digitale anche le persone che non facevano parte di questo mondo, magari anche molto lontane geograficamente, hanno iniziare a parlarne”.
Lei è stata anche una pioniera con i social. Perché questa intuizione?
“Ho capito da subito che quello dei social era un canale privilegiato; prima l’editoria sembrava essere l’unico veicolo per raggiungere il grande pubblico, poi il digitale come un piccolo topolino è arrivato, però correva più di una Ferrari e io mi ci sono buttata sopra”.
Balenciaga, Gucci, Valentino: la stagione 2024-2025 è stata ricca di colpi di scena. Come e quanto influiscono questi cambi di direzione creativa sulla brand identity dei marchi?
“Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un altro cambiamento epocale, se prima la direzione creativa data a un designer veniva custodita per lungo termine, pensiamo a Karl Lagerfeld con Chanel, erano dei percorsi lunghissimi, storici. Oggi tutto questo è cambiato, penso anche con la velocità del digitale, si vedono queste collaborazioni abbastanza veloci; se pensiamo all’ultima di Sabato De Sarno da Gucci, neanche un anno e mezzo, ti fa capire come il mondo sia appunto cambiato. A settembre vedremo uno stravolgimento dell’asset totale, forse il 40% dei brand verrà rinnovato, ma anche i CEO cambiano con una velocità repentina. Se la moda prima era una wave, un’onda: c’era il momento di calo e si dava il beneficio anche a una perdita, a un periodo meno florido, però avevi la possibilità di recuperare, c’era appunto un’onda, oggi quell’onda è diventata uno tsunami”.
A cosa puntano oggi le grandi holding della moda? Mi viene in mente Kering o LVMH.
“Questo devi chiederlo a loro (ride), ora c’è veramente una mappatura interessante, particolare, ora vediamo il nuovo CEO di Kering che arriva da tutt’altro ambiente. Viviamo una ristrutturazione alla base della quale ci vogliono degli studi sia economici che di finanza ai quali io non posso risponderti. Bisogna chiedere a loro quale strategia ora ci sia dietro”.
Quanto pesa oggi il valore del brand rispetto al prodotto?
“L’identity del brand soprattutto oggi è molto legata alla direzione artistica, questo può comportare delle evoluzioni, come un serpente che cambia la sua pelle, per cui se arriva un nuovo direttore creativo, come Alessandro Michele con Valentino, l’estetica del brand cambia. Il valore di un prodotto nella concezione delle persone dipende moltissimo dalla forza della direzione artistica. Se pensiamo a un fenomeno come Gucci che negli ultimi 5 anni ha cambiato tre volte l’identità del brand: da Alessandro Michele che ora è passato a Valentino, poi è passato a Sabato De Sarno ora passerà a Demma ti fa capire come è difficile tenere tutto insieme”.
Cosa ci aspetta dalle prossime stagioni?
Io dico sempre “non sono maga maghella” non ho la palla magica, è molto molto difficile e bisogna navigare a vista. Vi ripeto siamo in tempi anche molto difficili, viviamo in mezzo a tre guerre, ogni giorno ci sono degli sbalzi storici di grosse influenze internazionali che si riflettono anche nella moda, del resto la moda è quello: uno specchio della società”.
Cos’è per lei il successo?
“Essere riconosciuta dalle nuove generazioni, non c’è niente di più bello che sentire dei ragazzini di 14 anni che pronunciano il tuo nome”.