L’Italia è in coda alla classifica europea per gender gap economico, con tassi di occupazione e presenza ai vertici aziendali molto bassi.
Contenuto tratto dal numero di giugno 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Di Paola Profeta*
Secondo l’ultimo Global Gender Gap Index del World Economic Forum, nessun paese al mondo ha ancora raggiunto la piena parità di genere. In ambito economico, i progressi restano lenti e discontinui: le stime più recenti indicano che ci vorranno ancora 167 anni per colmare completamente i divari tra uomini e donne.
L’Italia, in particolare, si colloca in una posizione critica. Con un tasso di occupazione femminile che supera di poco il 50% – il più basso d’Europa – il nostro Paese è in fondo alla classifica europea nella dimensione economica del gender gap. La presenza femminile ai vertici delle imprese è ancora marginale: secondo gli ultimi dati dell’Istituto Europeo per la Parità di Genere (Eige) le donne amministratrici delegate in Italia sono solo il 2,9%. Nel resto d’Europa la situazione è solo leggermente migliore: la figura 1 mostra che la maggior parte dei paesi europei ha meno del 10% di ceo donne
Un’inversione di tendenza si è però registrata nei consigli di amministrazione delle società quotate, grazie alla legge 120 del 2011, detta legge Golfo-Mosca, che ha introdotto quote obbligatorie di genere. Dal 7% del 2010, la presenza femminile nei cda è salita fino all’attuale 44,3%. Questa normativa ha ispirato misure simili in molti altri paesi europei, fino all’approvazione di una direttiva comunitaria che promuove l’equilibrio di genere nei board delle società quotate. La figura 2 mostra la percentuale di uomini e donne tra i membri dei board nelle principali aziende in ogni paese europeo: l’Italia è tra quelli con il miglior bilanciamento.
Promuovere la parità di genere nella leadership non è solo una questione di giustizia. È una scelta strategica, che migliora la qualità della governance e contribuisce direttamente alla crescita economica.
Oggi in tutti i paesi europei le donne sono istruite quanto gli uomini, anche se permangono disuguaglianze nelle discipline Stem. Allargare il bacino di selezione per i ruoli apicali significa aumentare le probabilità di individuare i candidati migliori. Secondo l’Eige, se l’Italia riuscisse ad allineare il tasso di occupazione femminile a quello maschile entro il 2050, il Pil nazionale potrebbe crescere del 12%. In una ricerca condotta insieme a Ferrari, Ferraro e Pronzato, abbiamo analizzato gli effetti delle quote di genere nei cda introdotte dalla legge 120/2011.
I risultati sono chiari: selezionare un insieme più ampio e diversificato di candidati ha migliorato la qualità complessiva dei consigli. Non solo le donne nominate si sono rivelate altamente qualificate, ma anche la competenza media degli uomini è aumentata. Questo bilanciamento ha avuto un impatto positivo sulla performance: le aziende con cda più equilibrati hanno ottenuto risultati migliori sul mercato azionario, dimostrando che la diversità non è un costo, ma un vantaggio competitivo.
Una leadership diversificata porta anche a decisioni migliori. Consigli con una rappresentanza equilibrata tra uomini e donne tendono ad affrontare un’agenda decisionale più ampia, ad adottare prospettive più inclusive e a gestire in modo più efficace rischi e opportunità. Infatti, temi come l’inclusione e la sostenibilità trovano maggiore spazio quando la leadership è bilanciata per genere. In un mondo in cui le aziende sono sempre più chiamate a rispondere non solo agli azionisti, ma anche agli stakeholder e alla società nel suo complesso, la leadership bilanciata rappresenta un vantaggio strategico.
Uomini e donne hanno anche uno stile di leadership diverso. Le differenze non devono essere lette in termini di superiorità, ma di complementarità. Numerose ricerche hanno evidenziato come le donne leader tendano ad adottare un approccio più collaborativo e partecipativo, ponendo maggiore enfasi sull’ascolto, la condivisione e la costruzione del consenso che promuove l’engagement dei team e favorisce un clima di fiducia, elementi fondamentali per affrontare scenari complessi e in continua evoluzione.
Le donne sono anche più avverse al rischio, più prudenti e più attente alle conseguenze sociali e reputazionali delle decisioni. Non si tratta, quindi, solo di diversificare per un principio di equità, ma di arricchire la leadership con visioni, priorità e approcci differenti che, insieme, generano valore.
Promuovere la parità di genere nella leadership è una leva concreta di sviluppo economico, innovazione e sostenibilità. L’Italia ha compiuto passi importanti, come dimostra l’aumento delle donne nei consigli di amministrazione, ma resta ancora molto da fare, soprattutto nell’accesso ai ruoli esecutivi e nella riduzione del divario occupazionale. Costruire una leadership più inclusiva significa investire nel futuro: significa scegliere di non sprecare il talento, valorizzare le competenze e preparare le imprese a rispondere in modo più efficace alle sfide di un mondo complesso. È bene ricordarlo, in un momento in cui l’onda statunitense potrebbe portare anche le nostre imprese a fare marcia indietro sugli obiettivi di parità di genere.
* Paola Profeta è dean for diversity, inclusion and sustainability, full professor of public economics, director, Axa Research Lab on Gender Equality Università Bocconi