Contenuto tratto dal numero di settembre 2025 di Forbes Italia. Abbonati!
Se oggi avesse un solo euro da investire, Daniela Fatarella non avrebbe dubbi: lo spenderebbe per i bambini. “E più precisamente per l’educazione”, aggiunge. “Perché investire nell’infanzia significa investire in un capitale di democrazia, di giustizia sociale e di sviluppo sostenibile”. È una risposta semplice, ma radicale, che racchiude lo spirito con cui da oltre 20 anni Fatarella lavora nel mondo della cooperazione. Oggi è direttrice generale di Save the Children, la più grande organizzazione non governativa impegnata nella tutela dell’infanzia. Nata a Pisa nel 1974, si è laureata con 110 e lode in scienze della comunicazione a Siena nel 1999. Dopo esperienze internazionali a Londra e alle Nazioni Unite a New York, è entrata in Save the Children nel 2004, è stata vice direttrice dal 2015 e, dal 1 gennaio 2020, è la prima donna a ricoprire il ruolo di direttore generale in Italia.
Una donna alla guida di un’organizzazione fondata da un’altra donna, Eglantyne Jebb, che nel 1919 scese in piazza a Londra per difendere i bambini tedeschi e austriaci affamati dall’embargo inglese. “Fu vista come una traditrice”, racconta Fatarella, “ma lei disse una cosa semplice e rivoluzionaria: il pianto di un bambino è l’unico linguaggio universale”. Jebb venne arrestata per quell’atto di disobbedienza civile. Eppure, la sua arringa fu così potente che il giudice, invece di condannarla, pagò lui stesso la multa. Così nacque Save the Children: da un gesto di rottura e dalla consapevolezza che i bambini fossero soggetti di diritto.
Oggi Save the Children opera in oltre 100 paesi: nei luoghi colpiti da emergenze umanitarie – come Gaza, Sudan, Siria e Ucraina -, ma anche in contesti dove si può costruire sviluppo, come in Malawi o Costa d’Avorio. “Interveniamo sul campo, ma il nostro obiettivo è anche trasformare queste esperienze in modelli che possano ispirare e contribuire alle politiche pubbliche. Lavoriamo in rete con enti pubblici, partner privati e comunità locali, affinché il cambiamento possa essere sistemico”.
Ma lo scenario che la direttrice descrive non è semplice. “Viviamo una tempesta perfetta. Le disuguaglianze crescono ovunque e a moltiplicarle ci sono tre fattori: crisi climatica, conflitti e povertà”. Oltre 470 milioni di bambini vivono in zone di guerra. “E le guerre sono sempre più urbane: colpiscono le città e le famiglie. A Gaza sono morti oltre 18mila bambini. In Sudan si consuma un dramma senza che nessuno ne parli. E in Siria più dell’80% della popolazione vive sotto la soglia della povertà”.
Anche l’Italia, dice Fatarella, non è immune. “Nel nostro Paese, quasi il 14% dei bambini vive in povertà assoluta: non hanno un pasto proteico al giorno né una casa riscaldata. È il dato più alto degli ultimi 15 anni”.
Per questo Save the Children lavora molto nel nostro Paese, soprattutto nelle periferie e nelle aree svantaggiate e prive di servizi, in collaborazione con le realtà che operano sul territorio e le comunità locali, co-progettando gli interventi e partendo dall’ascolto dei bambini, dei loro bisogni. “In Italia abbiamo 27 Punti Luce, spazi educativi in cui in poco più di dieci anni abbiamo supportato quasi 65mila bambini con attività extrascolastiche, percorsi di empowerment, sostegno alla genitorialità. A Bari, a Catania e a Caivano operiamo anche con i più piccoli, realizzando interventi integrati, coordinati e multidisciplinari per bambini fino a sei anni”.
Oggi, però, c’è un altro nemico invisibile: la progressiva riduzione dei fondi alla cooperazione internazionale. “Stiamo assistendo a tagli enormi. A livello internazionale gli aiuti allo sviluppo sono stati tagliati drasticamente, per un valore complessivo di oltre 60 miliardi. Con effetti immediati: tante organizzazioni si sono trovate a fare scelte che mai vorrebbero fare, come decidere quali progetti chiudere, con gravi danni alle comunità”.
Fatarella ha visto con i propri occhi ciò che racconta. “In Somalia ho incontrato bambini talmente denutriti da non riuscire nemmeno a piangere”. Eppure, continua, “salvare un bambino dalla malnutrizione è semplicissimo: basta un alimento proteico somministrato in tempo”. A Gaza “abbiamo più di 200 colleghi palestinesi: faticano a nutrirsi e a sostenere le loro famiglie. Il nostro personale è allo stremo, ma continua ogni giorno ad aiutare migliaia di mamme e bambini”. Per fare la differenza sono necessarie competenze e passione, ma anche un investimento strategico e di lungo periodo. “Non possiamo – né dobbiamo – essere indifferenti, perché nessuno si salva da solo”.
Oltre agli interventi umanitari, Save the Children porta avanti molti progetti in collaborazione con imprese. “In Costa d’Avorio, insieme a Ferrero e con il supporto della Cooperazione Italiana, lavoriamo in 150 comunità produttrici di cacao. Sosteniamo lo sviluppo locale e proteggiamo l’infanzia. Il progetto è nato circa cinque anni fa e oggi è integrato nelle politiche produttive del paese”.
La forza di Save the Children, spiega Fatarella, è la capacità di ascolto e di co-progettazione: “Lavoriamo sul campo con un approccio innovativo, valutiamo le nostre progettualità, sviluppiamo buone pratiche, costruiamo relazioni solide con partner privati e istituzionali. Vogliamo portare l’infanzia al centro dell’agenda politica. È questa la nostra sfida quotidiana”. E la passione? “Quella è sempre con me, è il mio motore”, conclude. “La vedo ogni giorno negli occhi delle nostre operatrici e dei nostri operatori sul campo. Persone che, anche nei contesti più difficili, non si arrendono mai. E quindi non posso farlo nemmeno io”.
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